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Quando siamo diventati creativi

Centomila anni fa


Lo afferma un libro che ho letto in questi giorni su come la scienza ricostruisce il passato e disegna il futuro, 242 pagine che mi hanno entusiasmato, per la loro scorrevolezza e semplicità, pur affrontando temi complessi.

Il libro in questione è LE IMPRONTE DEL SIGNOR NEANDERTHAL di Giuseppe Remuzzi, scienziato, studioso, professore universitario e direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.


Il capitolo che ripercorro in questo articolo è quello sulla creatività.

È proprio il saperci chiedere il PERCHE’ che ha contribuito a sviluppare la nostra creatività, gli Scimpanzé non si fanno domande, al di là di quello che osservano (pur condividendo con noi il 98% dei geni).


Ci sono voluti tre milioni di anni perché il cervello che abbiamo ora passasse dai 400 cm cubici di uno Scimpanzé, ai 1.300 dell’Homo Sapiens e tutto questo è servito per poter comunicare e apprendere, e creare forme di arte, dal teatro, alla musica, alla pittura, alla scultura.


Durante la lettura di questo libro mi è venuto alla mente un viaggio (magico) che ho fatto molto tempo fa nella Francia Sud-Occidentale, nella regione della Dordogna, dove ho potuto visitare le Grotte di Lascaux un complesso di caverne vicino al villaggio di Montignac, situate in luogo strategico, nascoste alla vista arrivando dalla collina e aperte sul fiume, possibile e necessaria via di fuga.


Nelle grotte si trovano esempi di opere d’arte parietale risalenti al Paleolitico Superiore approssimativamente 17.500 anni fa.


Il tema più comunemente rappresentato è quello di grandi animali, resi con ricchezza di particolari. Tra le figure più note il bovino che salta, databile al tardo perigordiano presente nella cosiddetta Sala dei Tori.

La grotta contiene circa 6.000 figure, raggruppate in tre categorie principali: animali, figure umane e segni astratti, a dir poco meravigliose.

Da tempo le grotte sono chiuse per restauro, ma quello che si può trovare nelle foto delle opere d’arte di Lascaux, la dice lunga su quanto l’uomo, mosso dal desiderio di bellezza, fosse interessato a riprodurre la sua esperienza di vita e le sue emozioni, proprio come oggi.


Nei secoli e anche molto di recente sono stati fatti innumerevoli studi riguardo all’evoluzione dell’uomo, tanto che fino al 2018 si poteva pensare che l’origine della creatività potesse risalire indicativamente a 20-10 mila anni fa, mentre Edward Wilson, nel suo libro:” The origins of creativity” fa scoprire l’impulso creativo a oltre 100.000 anni fa.



Cosa ci ha spinto a chiederci il perché delle cose e il perché le cose succedono?

A farci domande senza apparente risposta?

A perseguire d’istinto l’amore per la novità?


Nemmeno Wilson riesce a esprimere una parola definitiva sul tema, sebbene consideri l’origine della creatività un insieme di studi che integrano conoscenze di antropologia, biologia evolutiva, paleontologia e neurobiologia.


Altri studiosi citati da Remuzzi nel suo libro, sono Anthony Brandt e David Eagleman autori di un testo ricco di esempi che vanno dall’ingegneria alla scienza, al design e alle arti figurative, alla musica (proprio come facevano i nostri antenati Neanderthal, che sapevano parlare, cantare e ballare); queste ricerche ci permettono di risalire alle radici del pensiero creativo fatto, sembra, di tre attività mentali che si riassumono nelle capacità di:

PIEGARE, ROMPERE, MESCOLARE.


Come lo spiegano Brandt e Eagleman?

Facendo riferimento alla capacità di Albert Einstein di piegare l’universo alle sue teorie, o al rompere, frammentare come fece Picasso in Guernica, o alla grande musica che mescola sapientemente note melodie.


In conclusione, la riflessione che mi più mi ha colpito del libro di Remuzzi è questa:


“Chi di noi sa davvero piegare, rompere o mescolare in modo più o meno integrato? Si tratta per lo più di SOGGETTI INQUIETI, annoiati dai soliti input di una vita monotona, che cominciano a chiedersi - cosa c’è lì fuori? – fuori dalle cose che faccio, dalle persone che frequento di solito?”


Queste abilità sono proprie di un gruppo di neuroni, quelli della percezione e quelli dell’azione, capaci di trasformare una buona idea in qualcosa che poi succederà davvero, (cosa che gli uomini hanno e gli animali no).


E allora?

Benvenuti gli INQUIETI, i curiosi, i mai paghi, gli assetati di conoscenza, di scoperta, i creativi insomma, che sono molti di più di quelli che pensiamo, perché dentro ad ognuno di noi albergano i geni della creatività, lo dice la scienza.


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