Memoria di Croazia
Sulla banchina del porto lastre di pietra bianca calpestate da secoli, una canna da pesca che si allunga verso l’acqua con la speranza appesa all’amo.
L’acqua trasparente fino al fondo dell’insenatura naturale che, chissà da quanto tempo, ospita il porto.
Un mare rigoroso, come la gente sulle sue rive, che nei secoli ha visto transitare popoli stranieri, con propositi di commerci e di guerre, che ora si traveste di accoglienza, per sopravvivenza.
Dietro, la montagna: aspra, brulla, che abbraccia il piccolo golfo come una madre severa e protettiva.
Un brulicare scomposto di umanità si sposta dondolando tra un caffè e l’altro, dove camerieri in livrea tentano la seduzione con ansia celata dai sorrisi turistici e, come l’amo pieno di speranza, m’immergo in un liquido di sensi ed emozioni, cercando pezzi di vita destinati a trasformarsi in ricordi, piccole pietre che faranno, da ora, parte della mia anima; che costruiranno quella “me” che sarò da domani.
Persone improbabili, coppie stranamente assortite, incontro osservandole con fare di spia distratta e insospettabile.
Colgo sfumature di comportamenti, modi incomprensibili, segreti nascosti e volontà annebbiate dalle birre e dalle sigarette.
Improvvisate terrazze commestibili e malinconiche, allestite con vasi di gerani occasionali, strumentali ad attrarre viandanti svagati e affamati.
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